È stato bello sentire raccontare da don Paolo Papone, parroco di Valtournenche, del primo intervento di soccorso alpino di cui si abbia notizia, un soccorso in valanga nella valle del Gran San Bernardo nella prima metà del XII secolo.
Ne ho ritrovato la cronaca nell’Histoire populaire, religieuse et civile de la Vallée d’Aoste dell’abbé Henry1. Tanta è la freschezza del testo che lo traduco pari pari dal francese, chi preferisce leggere l’originale in latino lo trova qui.
Nel 1130, una carovana di pellegrini, composta da Rodolfo abate di Saint-Trond (Liegi) e di un numeroso seguito, traversò il Gran San Bernardo in inverno. Ecco come l’abate stesso racconta questa traversata, con lo stile dell’epoca, nella cronaca del monastero:
“Dopo aver celebrato Natale a Piacenza, aumentando i pericoli dell’inverno, i pellegrini si affrettano; passano per la città di Aosta, ed arrivano ai piedi del Gran San Bernardo, a Restopolis volgarmente Estrouble (Etroubles). Là, non potendo più avanzare o indietreggiare, a causa degli enormi mucchi di neve, celebrano l’ottava di Natale; e qualche giorno dopo, guidati dai marroniers (soldati della neve di Saint-Rémy), raggiungono, su un difficilissimo sentiero, di due miglia teutoniche, il villaggio di Saint-Rémy, tra le montagne del Gran San Bernardo. Vi rimangono, il giorno e la notte, pressati e serrati, bloccati come se fossero stati in punto di morte. Tutto il villaggio era pieno della moltitudine di pellegrini. Da una parte all’altra, scendevano dalle cime dei monti, delle valanche di neve le une sulle altre, che schiacciarono alcune case poco lontano da loro… Dovettero passare qualche giorno in questo sfortunato villaggio, alle prese con le angosce della morte: e convincendo infine i marroniers con la promessa di una grossa ricompensa, li decidono a tentare il passaggio del colle. Costoro aprivano la marcia seguiti dai pellegrini che erano a piedi: sarebbero venute in seguito le cavalcature per meglio battere la pista ai signori che essendo più delicati, avrebbero marciato per ultimi. I marroniers, la tesa coperta d’un cappello di feltro a causa del freddo, la mani guantate di lana, i piedi calzati da coturni2 armati sotto la pianta da spunzoni di ferro contro la neve ghiacciata, avevano dei lunghi bastoni per sondare il sentiero sotto la neve spessa. Si stava partendo… era di buon mattino. Come temendo la morte prossima, e come per prepararvisi, i pellegrini celebravano o ricevevano i santi Misteri. Si faceva a gara per confessarsi al più presto, ed il prete del luogo non essendo più sufficiente da solo, ci si confessava gli uni agli altri in tutti gli angoli della chiesa. Nel frattempo, dieci marronniers che si erano incamminati furono avvolti da una nuova valanga. Gli altri abitanti, informati, corsero sul luogo del sinistro e riuscirono a tirali fuori dalla neve e riportarono al villaggio su delle barelle gli uni morti o con un solo soffio di vita, gli altri, tutti rotti, a braccetto. Si odono solo più i lamenti: questa piange suo marito, quella suo fratello… I pellegrini, uscendo di chiesa, spaventati dalle grida, e temendo per se stessi una simile sventura, si affrettano, dopo qualche esitazione, a ripercorrere la strada per Etroubles. Qui passano l’Epifania, poi il primo giorno sereno, ingaggiati i marroniers, risalgono al villaggio mortale e da lì in cima al colle che raggiungono a forza di arrampicarsi e dopo mille cadute e grazie al vigore che il terrore della morte dava alle loro gambe. Passarono la notte all’ospizio. Il giorno seguente, rimessi un poco dallo spavento e pensando solo più alla loro patria, fuggirono questi luoghi profanati da Giove, divenuti ora sacri, e riguadagnarono le loro case senza più incontrare grandi difficoltà”.
Libera traduzione italiana di Gian Mario Navillod.
- Joseph-Marie Henry, Histoire populaire, religieuse et civile de la Vallée d’Aoste, Société éditrice valdôtaine (Imprimerie catholique), Aosta, 1929 pag. 67, versione digitale disponibile qui[↩]
- Il Coturno è la calzatura usata dagli attori nella tragedia greca, aveva la suola di legno come le calzature in uso in Valle d’Aosta fino a metà del 1900 chiamate soque con la suola in legno e la tomaia in cuoio[↩]