Il canale scavato nella roccia che alimenta il ponte acquedotto di Pont d’Aël /Pondel è uno dei segreti meglio custoditi della Valle d’Aosta ed è un vero peccato perché quest’opera, sospesa sull’orrido in fondo al quale scorrono le acque tumultuose che scendono dai ghiacciai del Gran Paradiso, incute ammirazione e rispetto per chi più di due millenni fa la progettò e la fece realizzare.
Costruito per portare l’acqua del torrente Grand Eyvia alle pendici assolate a valle di Pondel ortografato anche come Pont d’Aël1 venne probabilmente abbandonato a causa di un cedimento delle parete rocciosa. In un’epoca non ancora conosciuta un tratto di canale lungo diverse decine di metri precipitò sul fondo della gola.
Accesso
Dall’uscita autostradale di Aosta Ovest seguire le indicazioni per Cogne. Un paio di km dopo il castello di Aymavilles girare a destra verso Pont d’Aël/Pondel e lasciare l’auto nel parcheggio all’ingresso del villaggio.
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Solo andata: 0h20
Lunghezza itinerario: 1.2 km
Quota partenza: 880 m circa
Quota arrivo: 960 m circa
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Dislivello: 160 m
In bici: meglio di no
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Descrizione
Dopo aver lasciato l’auto nel parcheggio si prosegue lungo la strada principale che attraversa il villaggio. Si lascia sulla destra la cappella dedicata a Sant’Andrea e a sinistra una bella casa che ha una meridiana sulla facciata sud e dopo una curva appare all’improvviso il ponte acquedotto.
Sulla destra vi sono i pannelli che ne illustrano la storia e spiegano l’interpretazione che l’epigrafista finlandese Heikki Solin ha dato dell’epigrafe fissata sulla chiave di volta. A causa di una diversa interpretazione per buona parte del XX secolo si ritenne che i costruttori del ponte fossero due fratelli Aimus e Avilius anziché l’impresario padovano Caius Avilius Caimus. Sporgendosi oltre la ringhiera appena sotto i cartelli si vede il tratto di roccia scalpellato che reggeva le fondazioni del muro di sostegno del canale.
Si imbocca la parte superiore del ponte dove un tempo passava il canale e a metà dell’arcata guardando verso il basso si può ammirare l’impressionante gola scavata dal torrente Grand’Eyvia. Sulle pietre più grandi dell’arco ci sono dei buchi, servivano per sollevarle con le grandi tenaglie che pendevano dagli argani di cantiere.
Raggiunta l’altra sponda girando a destra si accede al corridoio che permetteva di ripercorrere l’intero ponte in senso inverso. Il passaggio è stretto ed alto, illuminato fiocamente da alcune feritoie e serviva probabilmente per ispezionare il canale superiore e ad individuare per tempo le eventuali perdite d’acqua. In origine l’accesso a questa parte dell’opera era chiuso da porte per impedirne l’uso pubblico. Poi, con l’abbandono della struttura, per un paio di millenni si è potuto transitare liberamente all’interno del ponte, solo dopo i restauri del 2010-2012 il corridoio interno è stato nuovamente chiuso. Ora è percorribile solo in orario di visita e dopo aver pagato un biglietto d’ingresso.
Sul lato a monte del ponte, a sinistra arrivando dal villaggio, si accedeva all’antico condotto nel quale scorreva l’acqua. Con una pila e procedendo carponi per alcune decine di metri si faceva un emozionante viaggio sotterraneo. L’ambiente era particolarmente suggestivo perché sulle pareti è ancora perfettamente conservato lo speciale intonaco utilizzato dai romani per impermeabilizzare le pareti. Dopo i restauri l’accesso è stato chiuso con delle inferriate, non ci si entra più, nemmeno con il biglietto.
Per raggiungere il tratto di canale scavato nella roccia viva si prosegue lungo la mulattiera che porta a Petit Poignon, un largo sentiero che sale dolcemente sulla sinistra orografica della valle.
Si attraversano i terrazzamenti nei quali un tempo si coltivavano i cereali e la vite e che ora sono utilizzati come pascoli da camosci e caprioli. Alcuni alberi cominciano spuntare tra l’erba e ben presto il bosco riprenderà la terra che l’uomo gli ha sottratto nel corso di secoli.
Sulla destra del sentiero si incontra un abbeveratoio in legno e dopo alcuni minuti si arriva al bivio non segnalato dove si deve lasciare il sentiero principale. Unica indicazione verso questo prezioso manufatto di età romana è una freccia azzurra tracciata su un masso tra i due sentieri, che il tempo ha sbiadito. Si gira sulla sinistra e dopo una breve discesa all’interno della macchia si riprende a salire dolcemente.
All’inizio del sentiero un basso muro in pietra a secco separa il viottolo da bosco, poi non rimane altro che la terra pestata dai rari passanti a distinguere il passaggio dell’uomo dalle tracce che lasciano animali del bosco. In origine il sentiero era largo circa un metro poi alcuni muri si sostegno a valle hanno ceduto e la vegetazione ha ristretto il passaggio. L’essenza più dannosa per la gestione del sentieri a questa quota è senz’altro il nocciolo: anche se si tagliano con regolarità i rami che ostruiscono il sentiero il nocciolo ogni anno produce dei lunghi ricacci che la neve piega verso terra impedendo il transito agli uomini e rendendolo difficile quello degli animali.
In breve si arriva al pianoro sospeso sulla gola della Grand’Eyvia, sulla destra si vede tracciata una scritta blu su un sasso, a sinistra un grande traliccio dell’elettrodotto che sale verso Cogne. Si lascia il sentiero e si comincia a scendere dall’altra parte del promontorio tenendosi sulla sinistra. Si passa sotto un gruppo di pini silvestri, si attraversa una piccola frana che si è staccata dalla parete rocciosa, poi si vede, in basso e sull’orlo del precipizio, la chioma di due piccole betulle che sono cresciute proprio dove inizia il canale. Le si raggiunge scansando i cespugli e l’erba alta dove di tanto in tanto scendono a brucare i camosci.
La larghezza del canale è di circa un metro, la profondità varia in base all’andamento della parete rocciosa. L’argine a valle in alcuni punti è alto più di tre metri, interamente scalpellati nella roccia viva; l’argine a monte è ancora più imponente.
Sono ancora percorribili comodamente una sessantina di metri di canale poi il fondo e il lato a valle hanno ceduto precipitando nell’orrido sottostante. Si vedono ancora sulla roccia a monte le tracce lasciate dallo scalpello sul lato a monte che continuano in leggera discesa verso Pondel.
Anche dalla strada regionale per Cogne si intravedono tra gli alberi i resti di questa opera impressionante e, dopo il tratto interrotto della frana, la prosecuzione del canale sostenuto da grandi blocchi di pietra lavorata.
La grandiosità dell’opera e la sua unicità stridono con l’oblio in cui è caduta: non un cartello, non un sentiero segnalato per rendere accessibile a tutti questo acquedotto progettato e realizzato da un privato che ha poco da invidiare alle grandi opere pubbliche di età romana e medioevale costruite in Valle. Resta la tenue speranza che qualche persona illuminata intervenga per far conoscere e valorizzare uno dei grandi tesori nascosti della Valle d’Aosta.
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- Giovanni Vauterin, Gli antichi rû della Valle d’Aosta, Le Château Edizioni, Aosta, 2007, ISBN 88-7637-057-9, pag. 20[↩]