Alla partenza della passeggiata del sabato del villagggio a Valsavarenche mancava Rebecca. L’abbiamo cercata, l’abbiamo chiamata e i bimbi l’hanno finalmente trovata in un prato al lato della strada.
Rebecca non si era persa, Rebecca è la splendida mula che ci ha accompagnato nella passeggiata di fondovalle tra Creton e Rovenaud alla scoperta dei segreti del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Come si vive all’interno del parco? Cosa fanno gli abitanti di Valsavarenche di diverso da quelli della citta? Perché hanno scelto di vivere nel Parco? A queste e ad un sacco di altre domande ci hanno aiutato a rispondere la guida Loris Sartore e l’animatrice naturalistica Sveva Lavecchia, coordinatrice AIGAE per la Valle d’Aosta.
Abbiamo conosciuto due giovani mulattieri, un artista che scolpisce il legno, un giovane allevatore entusiasta del suo lavoro e la zia Alma che ci ha fatto vedere come si produce artigianalmente il burro e il formaggio.
Abbiamo anche assaggiato il burro e il formaggio che zia Alma ha fatto sotto i nostri occhi, con un po’ di miele delle api della Valsavarenche, come si usava un tempo per la merenda.
I bimbi hanno imparato con Sveva come si diventa Detective della Natura.
I grandi con Loris hanno scoperto che a Rovenaud è nato Emile Chanoux capo della resistenza valdostana morto in carcere e che Federico Chabod, l’illustre storico, professore universitario e primo presidente della Regione Autonoma della Valle d’Aosta, era originario di Valsavarenche.
Il sabato del villaggio è una bella passeggiata da fare almeno una volta nella vita e una buona pratica da replicare negli altri comuni della Valle d’Aosta, magari in collaborazione con Slow Food.
Il sabato del villaggio è un’iniziativa del Parco Nazionale del Gran Paradiso nell’ambito del progetto A piedi tra le nuvole che promuove il territorio e i suoi prodotti attraverso un approccio “slow” alla montagna.
Il sabato del villaggio è anche una famosa poesia composta da Giacomo Lepardi nel 1829. Eccone il testo.
La donzelletta vien dalla campagna,
in sul calar del sole,
col suo fascio dell’erba, e reca in mano
un mazzolin di rose e di viole,
onde, siccome suole,
ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro lá dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dí della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch’ebbe compagni dell’etá piú bella.
Giá tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
giú da’ colli e da’ tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dá segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e lá saltando,
fanno un lieto romore:
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dí del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l’altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s’affretta, e s’adopra
di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.
Questo di sette è il piú gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier fará ritorno.
Garzoncello scherzoso,
cotesta etá fiorita
è come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave.