Ho incrociato i passi di Luigi Einaudi per la prima volta vent’anni fa in occasione di un picnic nella conca di By. Ci eravamo fermati sotto casa Farinet dove il presidente passava le vacanze e avevamo dato uno sguardo distratto alla targa che lo ricorda.
Dopo una decina d’anni ho di nuovo incrociato i suoi passi lungo il sentiero della speranza mentre salivo al Rifugio Chiarella all’Amiante. Luigi Einaudi percorse questo sentiero e passò il Col Fenêtre Durand il 26 settembre 1943 per riparare in Svizzera malgrado la tormenta. Era in compagnia della moglie ed aveva allora 69 anni.
Il terzo incontro è stato sulle pagine del libro in cui il senatore Adolfo Dujany racconta la sua vita e cita Luigi Einaudi a proposito dell’Unione Europea.
Ho voluto approfondire la citazione ed ho trovato nei testi che ha scritto durante il suo settennato una prosa chiara, secca, una franchezza di linguaggio che mi ha riportato alla mente Sandro Pertini. Una lucidità d’analisi che potrebbe essere d’esempio a molti.
Un passo in particolare mi ha fatto riflettere. Per costruire una casa i nostri avi si affidavano ad un impresario, raramente coadiuvato da un progettista. Generalmente consideriamo queste case belle, alcune hanno centinaia d’anni.
Ora per fare una casa occorre: un architetto per il disegno, un ingegnere per la struttura, un geologo per le fondazioni, il tecnico comunale che calcoli gli oneri, il piano per la sicurezza del cantiere, il geometra che tracci i livelli, il funzionario della sovrintendenza che dia il giudizio estetico, il tecnico che calcola l’isolamento termico, quello che calcola quello acustico, un tecnico per l’impianto elettrico, uno per l’impianto termico e poi … se tutto va bene è possibile aprire il cantiere.
E se con un colpo di reni si cancellassero tutte le leggi sull’edilizia ritornando al buon senso dei nostri vecchi, siamo sicuri che ci sarebbero più disoccupati e le case sarebbero più brutte e meno solide?
Luigi Einaudi scriveva così sui falsi occupati.
“La lezione può essere ridotta a poche parole: mantenere un milione di impiegati e di operai superflui, nella illusione che, così facendo, si sia scoperto il rimedio alla disoccupazione:
- certamente non aumenta il prodotto nazionale totale, ossia la torta comune, di cui tutti vivono, il reddito nazionale totale, che si deve dividere tra tutti gli italiani;
- altrettanto certamente, diminuisce quel prodotto per la confusione, il disturbo, i controlli provocati da chi non produce e sta lì ad ingombrare. Il che sarebbe poco, se, sapendo di essere in una situazione falsa, quel milione di falsi occupati non riuscisse, con baccano insistente, a provocare norme coattive intese a legittimare e perpetuare il sistema. Cosa che, di nuovo e molto di più, scema quel tal prodotto; irrigidendo e anchilosando il meccanismo produttivo e dando stupendo pretesto a tutti i parassiti di ottenere rimborsi, protezioni e sussidi dallo stato.
…
Se si produce cento, possono vivere più o meno bene quelle x persone che si dividono il prodotto cento, comprese quelle che rendono servizi ai produttori diretti di quel prodotto (mimi, saltimbanchi, azzeccagarbugli ecc.) e può darsi che non vi siano disoccupati. Se per l’ingombro dei falsi occupati, si produce solo novanta, il prodotto novanta sarà con tutta probabilità diviso fra un numero di persone minore di x. Essendo più piccola la torta, i partecipanti più forti o più furbi, a furia di gomitate, cacciano sotto il tavolo i più deboli …”
Luigi Einaudi, Lo scrittoio del Presidente (1948-1955), Giulio Einaudi Editore, Torino, 1956, pag. 392 e 393, note di fine gennaio 1953.
Potete leggere gli scritti di Luigi Einaudi qui: http://www.luigieinaudi.it/
Post del 25.03.2016 ultimo aggiornamento 9.05.2020