Occorre un’oretta di cammino per raggiungere il Ru Courtaud da Saint-Jacques, si cammina su di una facile mulattiera che passa tra vecchie case restaurate con amore, pascoli curati e belle foreste di larici ai piedi dei ghiacciai del Monte Rosa.
Il ru scorre in una condotta forzata interrata sotto la pista di servizio. Sono ancora visibili alcuni tratti abbandonati del vecchio alveo, la casa dei custodi delle acque e le gallerie.
A chi ha le gambe sufficientemente allenate per superare in bici 4 km alla pendenza media del 7% si consiglia di arrivare al ru pedalando sulla sterrata che parte da Blanchard.
Accesso
Dall’uscita autostradale di Verrès seguire le indicazioni per Ayas e risalire tutta la valle lungo la S.R. 45 per una trentina di chilometri. Lasciare l’auto nel piazzale di Saint-Jacques-des-Allemands di fronte al capolinea degli autobus.
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Lunghezza (solo andata): 6.5 km circa
Quota partenza: 1682 m (parcheggio di Saint-Jacques)
Quota arrivo: 2100 m circa (presa secondaria)
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Dislivello: 400 m circa
In bici: percorribile a tratti.
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Descrizione
Non appena si scende dall’auto vi sono due cose importanti da vedere: davanti all’ingresso della chiesa dedicata a San Giacomo la singolare pavimentazione costruita affiancando torsoli di pietra che sono gli scarti della lavorazione al tornio di pentole in pietra ollare; dietro la chiesa la targa che ricorda l’Abbé Amé Gorret, grande alpinista e penna sopraffina.
Seguendo le indicazione per l’Altavia 1 si prosegue sulla strada asfaltata, si attraversa il ponte sul torrente Evançon e subito dopo si prende la mulattiera a destra per il villaggio di Pélioz/Les Péyoz.
Si attraversa il villaggio seguendo il viottolo selciato con pietre irregolari. È stato rifatto come si usava un tempo, per evitare il fango e il dilavamento in caso di forti piogge. Alle spalle del villaggio la mulattiera è completamente inerbita, segno che il passaggio di uomini ed animali non è frequente come lo era un tempo.
L’abitato successivo ha un nome curioso: Droles/Les Drôles che si può tradurre in italiano come gli spiritosi, gli strambi.
Si prosegue fino alla radura dove si trova l’alpe Croues/Les Croües. Su di un masso in posizione panoramica è stata costruita un’edicola, all’interno un dittico ricorda i pastorelli di Fatima.
Sopra il bosco di larici scintillano i ghiacciai del Monte Rosa, in lontananza si vede il Rifugio Mezzalama e quello delle Guide Val d’Ayas. Si entra nel bosco odoroso di resina, a lato del sentiero un giovane larice sta crescendo su un masso, chissà se il suo coraggio verrà premiato e le sue radici riusciranno mai a raggiungere la terra. Per il momento non resta che augurargli buona fortuna come si fa ad un alpinista prima di un’ascensione difficile.
Si traversa la strada sterrata che sale fino al Rifugio Grand Tournalin e si riprende la mulattiera per l’Alpe Nana/Nannaz.Se si osserva con attenzione i pascoli sotto l’alpeggio ci si rende conto del lavoro continuo di spietramento che è stato fatto dagli alpigiani. Le valanghe, le piogge torrenziali o banalmente la forza di gravità lasciano sassi di tutte le dimensioni sui pascoli alpini e ogni anno durante i tre mesi di monticazione i pastori pazientemente li usano per alzare muri lungo le mulattiere o li ammucchiano sopra i massi più grossi. Tutto questo lavoro solo per liberare un po’ di terra fertile ed avere un pugno di erba in più nella stagione successiva.
Una pista coperta d’erba taglia orizzontalmente i pascoli, sotto la pista scorrono le acque del ru in una tubatura di acciaio. Per raggiungere l’opera di presa si gira a destra e si prosegue lungo la pista di servizio del ru. Dopo qualche centinaio di metri si trova la seconda casetta dei custodi delle acque, la casetta di Nana/Nanaz/Nannaz.
Purtroppo il tetto è crollato e della modesta costruzione a due piani restano solo le macerie.
Alle sue spalle sembra ancora in buone condizioni la galleria lunga 120 metri scavata nel 1882 per fare passare le acque del ru. Il tentativo di lasciare scorrere una po’ d’acqua a cielo aperto non è andato a buon fine, si vede ancora un accenno di cunetta dalla quale escono pezzi di materiale plastico che madre natura non è ancora riuscita a coprire.
In poco più avanti si trova l’ultima delle galleria costruite per far passare la condotta forzata. E’ lunga un centinaio di metri. In attesa della sua messa in sicurezza è possibile passare all’esterno, nell’alveo del ru sostenuto a valle dai vecchi muri in pietra ed esposto alla caduta massi. E prudente non attardarsi ad ammirare il panorama.
Superato il tratto più pericoloso è possibile fermarsi una attimo per guardarsi intorno. Dall’altra parte della valle si vede l’Hotel Bellevue di Fiery, frequentato dall’intellighenzia piemontese ai primi del ‘900. Proprio in quest’albergo venne amorevolmente curato il poeta Guido Gozzano reduce, suo malgrado, da un tuffo nel Lago Blu di Verra.
Il sentiero si allarga fino a diventare una sterrata che conduce fino all’opera di presa. Le ultime macchie di larici interrompono si alternano a i pascoli di alta montagna. Di tanto in tanto la pista è interrotta da piccole frane che in occasione di forti piogge riempiono i guadi.
In lontananza in fondo al vallone si vedono spuntare le rocce chiare delle Cime Bianche, quanto rimane del fondo del vecchio oceano schiacciato tra la placca continentale africana e quella europea. Sotto la sterrata, tra i mucchi di pietre raccolte dai pastori, si vede l’alveo abbandonato di un ru.
L’opera di presa principale del Ru Courtaud/Courtod è coperta dalla neve sino a stagione inoltrata. La sterrata si inerpica fin sopra i fabbricati interrati tra cumuli di sassi che ricordano da vicino una cava di sassi.
Fortunatamente in pochi minuti si raggiunge la seconda opera di presa che intercetta un affluente del torrente principale. Ci si arriva seguendo una traccia di sentiero lunga un centinaio di metri. Qui l’acqua scorre ai piedi dei larici, il bordi del torrente sono coperti di erba e il sottobosco è intatto, proprio come ci si aspetta in alta montagna.
È ora di tornare indietro, di guardare le montagne e ghiacciai che hanno visto per più di cinque secoli l’andirivieni dei guardiani del ru, un tempo lunghissimo per gli umani, meno di un battito di ciglio per madre natura.
Dall’Alpe Nana/Nanaz/Nannaz al belvedere
Si percorre in leggerissima discesa la pista che attraversa il Torrente Nana/Nanaz/Nannaz su di un bel ponte in legno. Dall’altra parte della valle si vede la morena del Ghiacciaio di Verra e l’abitato di Résy, una pugno di case con ben due rifugi alpini che si trova all’inizio del vallone che porta al colle di Bettaforca.
A poco a poco la pista si restringe fino alle dimensioni di un comodo sentiero, si percorre la galleria lunga una cinquantina di metri e in una decina di minuti di piacevole passeggiata si raggiunge il belvedere. In questo punto si ha di fronte la grande morena del ghiacciaio di Verra e più su il Polluce una cima alta 4091 metri circondata dalle nevi eterne. Con il binocolo si vedono le case in fondo al Pian di Verra, il villaggio di Fiery con il grande albergo Bellevue e quello di Résy, a più di 2000 metri di quota, che un tempo era abitato tutto l’anno.
Curiosità
Bettaforca non c’entra nulla con il patibolo di Elisabetta ma è l’italianizzazione del toponimo Bättforko, il Colle di Bätt nel dialetto di Gressoney. Il villaggio di Batt si trova dall’altra parte del colle, in fondovalle, nel comune di Gressoney-La-Trinité.