I parcheggi di Chamois, Marc Bloch e la strana disfatta

Il belvedere di Gilliarey - Foto di Gian Mario Navillod.
Il belvedere di Gilliarey in inverno – Foto di Gian Mario Navillod.

Il Gran Ciambellano pro tempore di Gilliarey, dopo aver illustrato ai suoi ospiti le ricadute positive che l’autonomia della Valle d’Aosta ha avuto sulla sinistra orografica della Valle del Cervino (la funivia Buisson-Chamois e il primo altiporto d’Italia inaugurato a Chamois nel 1967 consentono ai residenti del comune più alto della Valle d’Aosta di vivere senza auto e risparmiare tonnellate di gas serra) si è soffermato a riflettere sulla curiosa tariffazione del parcheggio a servizio della funivia.

Parcheggio della funivia Buisson-Chamois - Foto di Gian Mario Navillod.
Parcheggio della funivia Buisson-Chamois – Foto di Gian Mario Navillod.

Fino a qualche anno fa il grande parcheggio dove lasciano le auto sia i residente a Chamois che i loro ospiti era libero e gratuito come è libero e gratuito il parcheggio alla partenza degli impianti di risalita di Cervinia. Inutile ricordare che in bassa stagione entrambi i parcheggio siano semivuoti e in alta stagione debordino di auto. Si è deciso in seguito di trasformare il parcheggio di Chamois in una curiosa zona blu: si può parcheggiare tutto il giorno gratis ma, se ci si ferma a dormire a Chamois, si paga la cifra simbolica di 3 euro. In un sol colpo si è innalzato il PIL della Valle d’Aosta acquistando sbarre,  parchimetri e casse automatiche, da allora si incassano i diritti di parcheggio che fanno crescere il bilancio regionale, si incentiva il turismo di giornata e si chiede un piccolo contributo a chi ama Chamois e la sostiene fermandosi a dormire nel piccolo comune.

Incapace di cogliere i vantaggi che porterebbe all’economia montana il turismo di giornata rispetto a quello più sostenibile energeticamente che prevede un vacanza stanziale in alta quota, il Gran Ciambellano, studiando  nella Biblioteca Nazionale di Gilliarey, si è imbattuto in un libro di Marc Bloch.

Marc Bloch e la strana disfatta

Marc Bloch è stato un grande storico francese che ha avuto la fortuna come storico, e la sfortuna come patriota francese, di studiare la prima e la seconda guerra mondiale su campo, indossando la divisa da ufficiale prima sul campo di battaglia e poi all’interno dello stato maggiore francese.

Scrive: “J’ai commencé la première au mois d’août 1914, comme sergent d’infanterie : en pleine troupe, par conséquent, et presque au niveau du simple soldat1.”

Congedato con il grado di capitano fu arruolato nello stato maggiore dell’esercito francese e dopo la strana disfatta dell’esercito francese entrò nella resistenza. Fu ucciso dai nazisti il 16 giugno 1944, a pochi mesi dalla liberazione di Lione dove era detenuto.

Aggiunge: “Au retour de la campagne, il n’était guère, dans mon entourage, d’officier qui en doutât ; quoi que l’on pense des causes profondes du désastre, la cause directe – qui demandera elle-même à être expliquée – fut l’incapacité du commandement2.

L’étreinte ennemie se faisait de plus en plus impérieuse, le problème commençait à se poser de la destruction, par le feu, des importants dépôts d’essence de Lille. Toute la journée du 27 et la nuit suivante se passèrent, pour moi, à tenter d’obtenir une décision. Il n’y eut pas moins de quatre ordres et contre -ordres successifs3.”

Quant aux malentendus qui, dans tant d’armées, de toute nation, s’élèvent, par moments, entre les exécutants et le personnel dirigeant, ce dernier n’en est assurément pas seul responsable. Car les difficultés n’apparaissent pas, aux divers échelons, sous le même angle et se mettre par la pensée à la place d’autrui fut toujours, au bas comme au sommet de la hiérarchie, une gymnastique mentale singulièrement difficile4.”

Après tout, se tromper au départ, il est peu de grands capitaines qui ne s’y soient laissé quelquefois en traîner ; la tragédie commence quand les chefs ne savent pas réparer5.

“... il n’est jamais bon que des hommes, chargés de responsabilités assez lourdes, et qui doivent conserver un sens aigu de l’initiative, aient l’esprit constamment tiré en arrière par des tâches presque purement mécaniques6.”

Peut -être serait-ce un bienfait, pour un vieux peuple, de savoir plus facilement oublier : car le souvenir brouille parfois l’image du présent et l’homme, avant tout, a besoin de s’adapter au neuf7.”

“Appartenant moi-même à la corporation des faiseurs de cours et n’y figurant point, hélas ! parmi les plus jeunes, je puis bien le dire : il faut toujours se méfier un peu des vieux pédagogues. Ils se sont constitué forcément, au cours de leur vie professionnelle, tout un arsenal de schémas verbaux auxquels leur intelligence finit par s’accrocher, comme  à autant de clous, parfois passablement rouillés. En outre, étant hommes de foi et de doctrine, ils inclinent, le plus souvent sans s’en douter, à favoriser, parmi leurs disciples, les dociles plutôt que les contredisants. Rares, du moins, sont ceux qui conservent jusqu’au bout un cerveau assez souple, et, vis -à-vis de leurs propres partis pris, un sens critique assez délié pour échapper à ces péchés de métier. Combien le danger n’est-il pas encore plus grand quand, les auditeurs étant aussi des subordonnés, la contradiction prend nécessairement allure d’indiscipline ! Les hauts rangs des états-majors étaient peuplés de professeurs déjà mûrs et les troisième bureaux à l’ordinaire, de leurs meilleurs élèves sélectionnés, comme tels. Ce n’étaient peut -être pas, pour l’adaptation au neuf, d’excellentes conditions8.”

  1. Ho cominciato la prima nel mese di agosto 1914, come sergente di fanteria: in piena truppa, di conseguenza, e quasi al livello del soldato semplice – Marc Bloch, L‘Étrange défaite. Témoignage écrit en 1940, Société des Éditions Franc-Tireur, Paris, 1946, pag. 23 – versione digitale disponibile qui – traduzione di Gian Mario Navillod[]
  2. Alla termine della campagna, non vi era ufficiale, tra quelli che ho frequentato, che ne dubitasse:  quali che fossero le cause profonde del disastro, la causa diretta – che chiede anch’essa di essere spiegata, fu l’incapacità del comando – Marc Bloch, L‘Étrange défaite. Témoignage écrit en 1940, op. cit., pag. 46, traduzione di Gian Mario Navillod[]
  3. La stretta nemica si faceva sempre più seria, cominciava a porsi il problema di distruggere, con il fuoco, gli importanti depositi di benzina di Lille. Tutto il giorno 27 e la notte seguente passarono, per me, nel tentativo di ottenere una decisione. Vi furono non meno di quattro ordini e contrordini successivi – pag, 36 op. cit.[]
  4. Quanto ai malintesi che, in ogni armata, di ogni nazione, sorgono a tratti tra esecutori e dirigenti, questi ultimi non ne sono sicuramente gli unici responsabili. Poiché le difficoltà non appaiono, a scala diversa, nella stessa prospettiva e mettersi con il pensiero nei panni altrui, fu da sempre, nel basso come nell’alto della scala gerarchica, una ginnastica mentale curiosamente difficile – pag. 54 op. cit.[]
  5. Dopotutto, sbagliarsi in partenza, vi sono pochi grandi comandanti che non ci siano caduti qualche volta;  la tragedia comincia quando i capi non sanno correggersi – pag, 62 op. cit.[]
  6. Non è mai bene che uomini, carichi di pensanti responsabilità, e che devono conservare un senso acuto di iniziativa, abbino lo spirito costantemente rallentato da compiti quasi puramente meccanici  – pag, 80 op. cit.[]
  7. Forse sarebbe un bene, per un vecchio popolo,  il saper dimenticare più facilmente: poiché il ricordo del passato offusca l’immagine del presente e l’uomo, prima di tutto, ha bisogno di adattarsi al nuovo – pag, 89 op. cit.[]
  8. Appartenendo io stesso alla corporazione dei docenti e non essendo, purtroppo! Tra i più giovani, posso ben dirlo: bisogna sempre diffidare un po’ dei vecchi pedagoghi. Si sono forzatamente costruiti, nel corso della loro vita professionale, tutto un arsenale di schemi verbali ai quali la loro intelligenza finisce per appendersi, come ad altrettanti chiodi, a volte alquanto arrugginiti. Inoltre essendo uomini di fede e di dottrina, sono inclini, sovente senza accorgersene, a favorire, tra i loro discepoli, i docili piuttosto che i critici. Rari, almeno, sono quelli che conservano fino in fondo un cervello sufficientemente flessibile e, oppongono al loro pregiudizio, un senso critico abbastanza libero per evitare questi peccati di mestiere. E di quanto il pericolo è ancora maggiore quando essendo i discenti anche sottoposti, la critica prende necessariamente forma d’indisciplina!
    Gli alti ranghi degli stati maggiori erano popolati di professori già maturi e l’ufficio operazioni di solito, dei loro migliori allievi, selezionati come tali. Non erano forse, per far fronte al nuovo, delle condizioni ottimali. – pag, 135 op. cit.[]