In Valle d’Aosta facevano il pane una volta l’anno per risparmiare combustibile.
Ogni villaggio aveva il suo forno comunitario. “Per scaldare il forno la prima volta, bisognava far fuoco per 5-6 ore, usando lunghi spicchi di larice.“1 A turno ogni famiglia che aveva diritto all’uso del forno si assumeva l’onere di scaldare la prima volta il forno. “A Santa Barbara (4 dicembre), si faceva generalmente il pane e ogni famiglia cuoceva le infornate necessarie per soddisfare le esigenze di un anno intero, Il forno, come l’alambicco, doveva funzionare giorno e notte. … Per le festività di fine anno, si disponeva allora di pane fresco.“2
L’idea di un’organizzazione sociale così attenta alla sostenibilità ambientale da cuocere il pane tutti insieme, una volta l’anno, per risparmiare combustibile è così suggestiva che l’ho ripetuta per anni, ai miei figli, ai miei amici, agli ospiti che porto a passeggio raccontando loro qualche simpatico episodio di storia patria.
Fino a quando il Signor Mark M., cittadino statunitense in visita a Chamois, dopo aver educatamente ascoltato la mia spiegazione davanti al forno di Suisse, ha guardato i boschi di larici che circondano il villaggio. Ed è bastato quello sguardo, un bellissimo esempio di comunicazione non verbale, per far crollare la mie certezze sul perché in Valle d’Aosta si cuoceva il pane di segale un volta l’anno.
Ne ho parlato con chi ha studiato le tradizioni e l’architettura valdostana: Alexis Bétemps, Claudine Remacle, Teresa Santomarco. Non sono ancora arrivato ad una risposta definitiva.
Però alcune possibili alternative sono venute alla luce.
- Nel ciclico alternarsi dei lavori nella civiltà contadina il momento più opportuno per procedere alla panificazione poteva essere quello in cui il gelo impediva di lavorare la terra ma non era così intenso da ridurre la portata delle acque. Se l’acqua corrente si trasforma in ghiaccio nei mulini non si possono macinare i cereali. E se tutto il villaggio cuoce il pane più o meno nello stesso periodo è probabile che si sviluppino forme di cooperazione che diventano poi forme tradizionali delle quali con il passare del tempo si perde il senso originale.
- Sembra che un docente universitario abbia sostenuto, immagino con un pizzico di ironia, che i valdostani sono molto bravi a creare miti. Ho il ricordo personale di una signora valdostana nata nella prima metà del XX secolo che sosteneva che i valdostani emigrati a Parigi diventavano sovente autisti di tassì perché erano molto intelligenti, così intelligenti da mandare a memoria il reticolo stradale della capitale francese prima degli altri. Temo invece che tanti emigrati valdostani cominciassero la loro carriera pulendo i pavimenti e lavando i tassì (facevano i frotteur de parquet e i laveur de taxi) e poi con un po’ di fortuna riuscissero a far carriera. Diventando anche autisti di tassì.
- È possibile che in origine quelli che ora sono forni comunitari o di villaggio fossero forni bannali. Nel medioevo gli abitanti della signoria potevano essere obbligati a usare esclusivamente il forno3 o il mulino del signore in cambio di una tassa che veniva impiegata in parte per la loro manutenzione. Nelle franchigie accordate agli abitanti di Châtillon era previsto l’obbligo di servirsi del mulino e del forno del signore pagando un setier de seigle4. Proprio come avveniva con gli alambicchi: non era possibile distillare le vinacce della propria vigna se non pagando una tassa apposita e l’unità minima della tassa era la giornata.5 Se l’unità minima di pagamento fosse stata anche per il forno la giornata sarebbe evidente il vantaggio di collaborare tra vicini affinché le infornate si succedessero nelle 24 ore. Magari sostenendo, per non urtare il signore proprietario del forno, che lo si faceva per economizzare il combustibile.
È possibile che una tradizione che potrebbe essere nata per evadere le tasse medievali sia sopravvissuta così a lungo? Potrebbe essere una delle tante curiosità della Valle d’Aosta.
Curiosità.
- Nel nord della Danimarca c’è ha un clima simile a quello dalla media montagna della Valle d’Aosta. Quando ho raccontato che il pane di segale nella mia regione si cuoceva una volta l’anno gli abitanti mi hanno guardato increduli. Anche loro cuociono il pane di segale ma il fatto che si possa fare il pane una volta l’anno e mangiarlo raffermo per gli undici mesi successivi pareva loro più una battuta di spirito che una tradizione alpina.
- Nuto Revelli nel suo libro il mondo dei vinti riporta la testimonianza di Andrea Marino, classe 1885 di Vinadio (CN): “Mi sono allevato non c’era nemmeno pane per uno [sic], mio padre ci ha allevati nove, … pane poco, non ce n’era. Il pane d’estate lo facevamo ogni mese, e a settembre-ottobre facevamo le cialende, sei sette fornate, a maggio mangiavamo ancora quel pane duro, lo tagliavamo cul taiet, pan ‘d sel, parluma pà ‘d pan ‘d gran6”
- Nella famiglia di Don Pietro Garnero, classe 1885, di Sampeire (CN) si cuoceva il pane una volta l’anno: “Il mio pane, ‘l pan ‘d sel, ‘l pan dür, lo conservavamo sul solaio. ‘L müfí bianc7 si mangiava ancora, ‘l müfí giaun8 era immangiabile. Mia madre per farci mangiare il ‘l müfí giaun ci diceva: “Mangiatelo che vi fa venire alti”. Io ne ho mangiato tanto ‘d müfí giaun, e infatti sono alto di statura. Il pane lo tagliavamo al grat, al taiet. Per rammollirlo un po’ lo appendevamo sopra il paiolo delle patate che bollivano9”
- Il rapporto dei valdostani con il pane di segale.
Victor Hugo ne “I miserabili” rivela pregi e difetti della cottura del pane nel Delfinato: “… dans tout le pays haut du Dauphiné. Ils font le pain pour six mois, ils le font cuire avec de la bouse de vache séchée. L’hiver, ils cassent ce pain à coups de hache et ils le font tremper dans l’eau vingt-quatre heures pour pouvoir le manger“.10
Post dell’11.02.2017 ultimo aggiornamento 23.01.2021
- Alexis Bétemps, Saverio Favre, Lidia Philippot, Laura Saudin, Nathalie Silvani, Maddalena Vittaz, La Vallée d’Aoste au fil des jours, Priuli e Verlucca Editori, Ivrea 2006, ISBN 88-8068-309-8, pag. 702[↩]
- Alexis Bétemps, Saverio Favre, Lidia Philippot, Laura Saudin, Nathalie Silvani, Maddalena Vittaz, La Vallée d’Aoste au fil des jours, Priuli e Verlucca Editori, Ivrea 2006, ISBN 88-8068-309-8, pag. 650[↩]
- Nelle franchigie concesse il 21 maggio 1436 dal conte Francesco di Challand “… veniva richiesto di servirsi del forno signorile di Châtillon per la cottura del pane al costo di dodici denari al sestario” – Fausta Baudin, Omar Borettaz, Rosella Obert, Pontey, Pontey 2002, pag. 49 [↩]
- Maria Vassallo, Châtillon in età moderna, Le Château edizioni, Aosta, 2001, ISBN 88-87214-80-8, pag. 62[↩]
- Luigi Odello, Come fare la grappa, Giunti Editore, 2002, ISBN 88-440-2589-2, pag. 7[↩]
- Con l’attrezzo tagliapane, pane di segale, non parliamo di pane di grano – Nuto Revelli, Il mondo dei vinti, Giulio Einaudi Editore, Torino 1977, ISBN 88-06-47621-1, pag. 44[↩]
- L’ammuffito bianco[↩]
- L’ammuffito giallo[↩]
- Nuto Revelli, Il mondo dei vinti, Giulio Einaudi Editore, Torino 1977, ISBN 88-06-47621-1, pag. 94[↩]
- “… in tutto l’alto Delfinato. Fanno il pane per sei mesi, lo fanno cuocere con lo sterco di vacca sacco. In inverno rompono questo pane con l’ascia e per poterlo mangiare lo fanno rammollire ventiquattr’ore in acqua”. Victor Hugo, I miserabili, Tomo I, libro I cap. IV[↩]