Il Ru du Mont è conosciuto in Valle d’Aosta per la lunga galleria perdonale che buca la montagna per raggiungere i pascoli di Doues. Un pizzico di adrenalina per chi non soffre di claustrofobia e una grande fatica per chi vuole passare in bici nella stretta galleria. Ai ciclisti si consiglia di partire dall’opera di presa nel villaggio di Vaud di Ollemont e lasciare le bici all’entrata nord della galleria.
Accesso
Dall’uscita autostradale di Aosta Est seguire le indicazioni per il tunnel del Gran San Bernardo. All’uscita della seconda galleria prendere a destra per Valpelline e dopo 3 km girare a sinistra e raggiungere il capoluogo di Doues. Proseguire in salita per 3 km e lasciare l’auto nel parcheggio del villaggio di Châtellair.
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Lunghezza itinerario: 5 km circa
Quota partenza: 1427 m
Quota arrivo: 1482 m circa
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Dislivello irrilevante
In bici: consigliato.
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Descrizione
Si prosegue lungo la strada asfaltata per un centinaio di metri fino al tornante dove inizia la sterrata che porta alla galleria del Ru du Mont. Il panorama è molto suggestivo: pascoli verdi si perdono all’orizzonte, in lontananza una cappella ed alcuni alberi di alto fusto e si stagliano sui monti coperti dalle prime nevi, si riconoscono le sagome inconfondibili della Grivola e del Mont Emilius.
In pochi minuti di piacevole passeggiata si raggiunge l’ingresso della galleria che attraversa la montagna. È lunga più di mezzo chilometro. Vicino all’entrata un tabellone riassume la leggenda del guardiano del ru e della serpe bianca, un piccolo oratorio accoglie la statua della Madonna con il Bambino e alla sua sinistra inizia il tunnel dove il ru scorre cielo aperto separato dal corridoio di ispezione da un muretto di cemento.
Un uomo di media statura cammina agevolmente nella galleria, i più alti devono chinare la testa e chi intende transitare in bici dovrà scendere e faticare assai nei passaggi più stretti: la superficie della parete è irregolare, occorrerebbe allargarla di almeno un metro per utilizzarla come pista ciclabile. Con i lavori di ammodernamento è arrivata l’illuminazione elettrica che non è sufficiente per procedere in sicurezza, meglio utilizzare la torcia del telefonino. Una piccola cunetta scavata nel pavimento in cemento del tunnel smaltisce le acque che filtrano dalla roccia, un tempo occorrevano scarponi o stivali per superare le pozzanghere.
All’uscita della galleria si trova un clima più ombroso, lungo la pista si incontrano tanti abeti, alcuni larici e i tronchi curvi dei noccioli che la neve piega verso terra. Ciuffi di epilobi si colorano di rosa sul finire dell’estate e di rosso ai primi geli. I tronchi degli abeti si slanciano esili verso il cielo dove il bosco è più fitto e in autunno le foglie degli aceri di monte tappezzano con le loro foglie gialle la sterrata. Dopo l’incrocio con il sentiero che sale all’Arp du Bois, l’Alpe del Bosco in italiano, la pista si restringe fino a diventare un sentiero che è protetto a valle da staccionate in legno e a monte da cavi azzurri fissati alle rocce.
Dalla gola del torrente si vede la cime della Becca di Viou, una delle cime della Valle d’Aosta che a fine giugno si illuminano con i falò di San Pietro. Si vedono le saracinesche in metallo che intercettano le acque e affiora da terra il grosso tubo in fibra di vetro dove scorre il ru.
Dietro una curva, protetta da una sporgenza della roccia, si scopre una delle opere più suggestive dello scultore Dante Marquet, un ariete con il sorriso enigmatico della Gioconda che aspetta i passanti sospeso sull’abisso.
Ha appeso al collo un sonaglio da fricchettone, e pare un incontro ben riuscito tra un’erma classica posta a protezione dei viandanti e una sfinge criocefala del tempio di Karnak.
Dopo il ponte pedonale che scavalca la gola si ritrova la pista di servizio che attraversa la foresta. Pochi metri prima guado sul torrente Vesey sono state posate delle reti paramassi che con il tempo si sono riempite di roccia frantumata, sembrano vecchie bisacce pronte a scoppiare; in attesa che qualcuno le svuoti è meglio non indugiare.
Tra gli alberi si intravede la parrocchiale di Ollomont poi si incrocia l’Altavia 1 e si scopre una seconda galleria lunga una cinquantina di metri. Per far passare il ru è stata tagliata una placca di roccia liscia e scivolosa, sopra la galleria si vede una montagna coperta di ghiaccio, è il Grand Combin un quattromila interamente in territorio elvetico che per un’illusione ottica sembra trovarsi sullo spartiacque italo-svizzero. All’interno del tunnel è possibile toccare i grandi tubi nei quali scorre il Ru du Mont e all’uscita si scopre un’opera dell’artista Giuliana Cunéaz che nel 1990 ha ideato l’istallazione il silenzio delle fate: 24 leggii in marmo e acciaio disseminati in Valle d’Aosta a ricordo del passaggio delle fate.
Sull’altro versante della valle si vede la punta aguzza del Mont Berrio, toponimo che suona come Monte Sasso in italiano, che spicca tra i boschi di larice ingialliti dall’autunno e il cielo azzurro.
Una scala in ferro coperta da un tetto di roccia permette di superare senza fatica un salto del ru.
Si attraversa il ponte in legno sul torrente Terra Rossa e alle spalle della scultura intitolata La Borna Teuppa, il buco oscuro, si scopre l’ingresso della miniera sbarrato da un cancello in ferro. Dopo un ultimo guado appare il villaggio di Vaud. A sinistra del forno comunitario si trova il dissabbiatore del Ru du Mont, l’opera di presa è alle sue spalle protetta da un grande argine in cemento armato rivestito di pietra. A fianco del dissabbiatore si scopre un grenier ristrutturato che ha in facciata dei numeri romani incisi sulle assi: era una soluzione adottata un tempo per smontare e rimontare queste piccole strutture in legno. Davanti al forno consortile che è inserito in un fabbricato più grande, soluzione inconsueta in Valle d’Aosta dove i forni sono costruzioni isolate, cresce un grande ginepro con il tronco che ha più 20 cm di diametro.
Le Pays d’Aoste del 20 settembre 19491 ha dedicato l’intera terza pagina all’inaugurazione del Ru du Mont di Doues avvenuta l’8 settembre 1949 alla presenza del vescovo, dei parlamentari valdostani e del presidente della giunta regionale. Il geometra Cuaz raccontò all’estensore dell’articolo della prima vittima del ru: “La prima volta che abbiamo fatto scorrere l’acqua nel nuovo ru, un serpente fuggiva, spaventato (nel letto del canale) davanti ai flutti che lo pressavano ed hanno finito per raggiungerlo e soffocarlo”. Questa morte riportò alla mente del giornalista un ricordo d’infanzia: un pio eremita disse “Un cattivo serpente si aggira in questi luoghi. È il serpente della siccità. Dovete trovarlo ed ucciderlo. I vostri prati e i vostri campi cesseranno di essere aridi”.
L’assessore regionale all’agricoltura Arbaney ricordò che la domanda per la nuova concessione fu presentata il 25 giugno 1924 e che il 5 luglio dello stesso anno l’ing. Christillin redasse il progetto. A causa delle lungaggini burocratiche i lavori cominciarono solo nel 1948, 24 anni dopo, e finirono nel giugno 1949. Il costo dell’opera venne finanziato per 30 milioni di lire dai soci del consorzio, per 23 milioni dal Consiglio Valle e per 18 milioni dalla regione che li anticipò per conto dello stato. Il ru è lungo 7,5 km di cui 600 m in galleria e deriva 400 litri al secondo.
Curiosità
Ogni anno il 29 giugno, giorno di San Pietro, si ripete sulla Becca di Viou e su diverse altre cime valdostane un’antichissima usanza. All’imbrunire vengono accesi i fuochi di San Pietro per prolungare simbolicamente la durata del giorno che alla fine di giugno comincia a calare. Mentre il sole scende dietro dietro le montagne l’oscurità riempie le valli e poco a poco risale i ripidi versanti esposti a ponente.
Si attende il finire del giorno. Poi su alcune cime cominciano ad accendersi i fuochi. Prima esili e quasi impercettibili le fiamme ben presto divampano rilanciando di vetta in vetta un messaggio di orgoglio che unisce le genti di montagna salite a perpetuare una tradizione millenaria.
In alto il buio della notte è rotto solo dal luccicare delle stelle e dai pennacchi infuocati alimentati dagli uomini. Poi le fiamme calano, diventano brace. La luce dell’ultima pira traballa, si spegne. Un altro anno è passato.
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Post del 1.11.2020 ultimo aggiornamento 30.01.2021