Questa passeggiata che si svolge in buona parte all’ombra di un bosco di latifoglie porta ai piedi di uno dei pilastri principali del Ru du Pan Perdu, il canale irriguo lungo una dozzina di km che portava le acque del torrente del Petit-Monde fino ai pianori aridi del comune di Verrayes.
Non si conosce con precisione la data di costruzione di questa opera imponente, è probabile che i lavori siano stati eseguiti tra il XIII e il XIV secolo. Verso il 1250 venne infatti costruito il Ru de Joux e il Ru du Pan Perdu di Châtillon, risulta già esistente nel 1325.
Accesso
Dall’uscita autostradale di Châtillon-Saint-Vincent seguire le indicazioni per Cervinia e risalire la valle lungo la strada regionale 46. Parcheggiare dietro l’ufficio informazioni turistiche di Antey.
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Sola andata: 0h30
Lunghezza itinerario: 0.8 km
Quota parcheggio: 1025 m
Quota archi: 1200 m
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Dislivello: 175 m circa
In bici: sconsigliato
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Descrizione
Dal parcheggio davanti allo chalet che ospita l’ufficio informazioni turistiche si attraversa la strada regionale e dopo poche decine di metri si trovano le indicazioni per raggiungere il Ru.
Lasciando sulla destra un oratorio dedicato alla Madonna si percorre la ripida salita che passa alle spalle del villaggio Grand-Moulin (in italiano i Grandi Mulini) dove si trova ancora perfettamente conservato un mulino alimentato fino alla prima metà del 1900 dalle acque del torrente Marmore.
Dopo un breve tratto in piano si arriva al ponte detto del Pinot, dal nome dell’impresario che diresse i lavori, dove si attraversa la strada regionale per Torgnon. Durante i lavori per la costruzione della strada, iniziati nel 1937, venne trovato a poche centinaio di metri a sud della cappella di Navillod un piccolo sepolcreto preromano1 che ospitava non più di 7 o otto tombe, esso venne completamente distrutto e gli unici reperti conservati furono due armille bronzee e un vaso funerario alto 25 cm che rimasero in mano a privati almeno fino al 1975 e dei quali in seguito si persero le tracce.
Si attraversa la strada poi seguendo le indicazioni si percorre una breve e ripida salita fino al ponte in legno poi la pendenza si riduce e si prosegue zigzagando prima tra i lastroni tagliati della vecchia cava di marmo poi tra i massi di una antica frana colonizzati dalla pervinca dai bellissimi fiorellini azzurri. Poco dopo la frana, arrivando ai piedi della parete rocciosa si intravedono, in alto tra gli alberi, i pilastri che reggono il tracciato del ru poi si prosegue quasi in piano e a lato del sentiero, su un grosso sasso inglobato del muro a monte si nota una curiosa incisione sull’interpretazione della quale i pareri sono discordi.
Secondo la professoressa Cristina Sanna, autrice di uno studio sulle testimonianze grafiche incise nel comune di Antey si tratterebbe della scritta “1879 7B” che indicherebbe con un piccolo gioco di parole l’anno e il mese in cui sono terminati i lavori: 1879 7(m)B(re) = settembre. L’architetta Claudine Remacle, che ha coordinato numerosi studi sull’architettura valdostana, ipotizza invece per una lettura più prosaica della scritta e avendo notato che l’ultimo sette ha una gamba inclinata verso sinistra propenderebbe per la seguente lettura “1879 JB” dove le lettere “JB” rappresenterebbero le iniziali del committente dei lavori.
A poche decine di metri da questo piccolo enigma, tra i pini radi, si apre un gradevole scorcio sul borgo di Antey con sullo sfondo la vetta del Tantané. All’altezza del quarto tornante, poco prima prima di un roccione su cui è tracciato un segnavia giallo, si esce dal sentiero sulla sinistra, proprio sulla curva, e seguendo per una quarantina di metri la traccia che sale a zig-zag in mezzo al bosco si giunge alla base del monumentale pilastro a sezione quadrangolare di circa 2.20 per 2.80 m (pari ad una tesa ed un piede di Aosta per una tesa e mezzo) che sosteneva il Ru.
Chi lo desidera, conscio del rischio di caduta massi, può recarsi sul tracciato originario del canale. Si passa dietro al vecchio pilastro e si risale il pendio davanti ai due archi fino a raggiungere il piccolo fazzoletto di terra in piano dove all’ombra di un pino termina l’itinerario.
Riservato agli escursionisti esperti
Chi desidera raggiungere i grandi archi del Ru dopo essere uscito dal sentiero 105 anziché salire verso il pilone isolato deve scendere di alcuni metri passando ai piedi del pino e tenendosi vicino prima ai muri di sostegno e poi alle rocce dirigersi verso sud. Dopo un breve tratto in piano inizia una ripida salita che porta ai piedi dei grandi archi. Il sentiero non è al momento tracciato e occorre farsi strada tra i rovi e la boscaglia arrivando ad una cornice esposta e non protetta.
Curiosità
Non si conosce con precisione la data di costruzione di questa opera imponente: i rilievi dendrocronologici effettuati alla fine del 1900 su di un pezzo legno murato in un pilastro del Ru non hanno dato esito: il campione era troppo piccolo. È probabile che i lavori siano stati eseguiti tra il XIII e il XIV secolo. Verso il 1250 venne infatti costruito il Ru de Joux che deriva l’acqua dal torrente Saint-Barthélemy portandola a Verrayes mentre il Ru du Pan Perdu di Châtillon, che portava l’acqua del torrente Marmore da Antey a Saint-Vincent, risulta donato a Pietro di Challant, e dunque esistente, nel 1325.
Anche se è a volte chiamato Ru des Sarrasins (il Ru dei Saraceni) non è stato costruito sotto la dominazione araba. L’unico documento che attesti l’attività della suddetta popolazione al di qua delle Alpi si trova nella cronaca di Novalesa (Chronicon Novaliciense) scritta verso la metà dell’anno mille nella quale viene descritta l’occupazione e il saccheggio del monastero della val di Susa avvenuti nei primi anni del X secolo da parte di bande di “saraceni”.
A partire dal 1200, comincia a diffondersi nelle Alpi l’uso di indicare come saraceni oggetti o resti di fabbricati antichi o realizzati con tecniche non più usuali: nel 1327 infatti vengono indicate come saracene le mura romane di Susa, e verso la metà del XIV secolo presso Ivrea si indicano come tegule saracenorum i vecchi tegoloni utilizzati nelle costruzioni romane2. Numerosi eruditi dal XVII secolo in poi applicarono una buone dose di fantasia al tema inventando cronache apocrife che attribuivano ai saraceni opere e attività di cui non si ha nessun riscontro storico.
Il ru descritto da Edward Whymper
Numerosi viaggiatori inglesi lasciarono traccia di queste rovine nei loro diari di viaggio. Quasi tutti attribuivano, sbagliando, questi archi imponenti all’abilità costruttiva degli antichi romani, fa eccezione il più importante di essi, Edward Whymper che nel 1865 conquistò il Cervino:
“1° agosto 1863 … La Val Tournanche è una delle più affascinanti vallate della Alpi italiane; per un artista è un paradiso, e se lo spazio a mia disposizione fosse stato maggiore, avrei indugiato volentieri sui suoi boschetti di castagni, i suoi ruscelli luminosi e gorgoglianti e i suoi torrenti mugghianti, le sue valli nascoste e le sue nobili rupi. Il percorso sale ripidamente da Châtillon, ma è ben ombreggiato, il caldo sole d´estate è temperato da una brezza fresca e da schizzi che scendono dal gelido corso d’acqua. Si vedono dal sentiero, in più punti sul versante destro della vallata, gruppi di archi che sono stati costruiti attaccati alle rupi. La guida – di cui non conosco l´autorevolezza – ripete che sono le rovine di un acquedotto romano. Essi hanno l’audacia della concezione romana, ma il lavoro non ha l’usuale solidità dell’architettura classica. Gli archi mi sono sempre parsi essere le rovine di un lavoro incompiuto, e vengo a sapere da Jean-Antoine Carrel che vi sono altri gruppi di archi, che non sono visibili del sentiero, tutti aventi la stessa apparenza. Ci si può chiedere se quelli visti nei pressi del villaggio di Antey siano romani. Alcuni di essi sono semicircolari, mentre altri sono più acuti. Ecco qui uno questi, che potrebbe essere stato costruito del quattordicesimo secolo, o addirittura in epoca ancora più recente;- un arco policentrico, con conci medi e corsi di muratura grezza. Varrebbe la pena sottoporre questi archi all’attenzione di un archeologo, ma si incontrerebbero non poche difficoltà nell’avvicinamento3.”
Anche la scrittrice Jane (Henry) Freshfield, che nel frontespizio della sua opera si qualifica come “una signora” descrive il ru a pagina 166 e seguenti del suo Alpine Byways Or Light Leaves Gathered in 1859 and 1860, ed attribuisce erroneamente la sua costruzione ai romani:
“We had previously traversed the Val Tournanche, but in the contrary direction, so that the scenery appeared under a new aspect, as we passed through the fine woods of walnut and Spanish chestnut, which gave a pleasant shelter from the sun. My son meantime found his way with Couttet by the shorter path, which crosses the meadows, keeping
near the river. They rejoined us in about an hour, just as our attention was attracted to the extraordinary remains of the fine Roman aqueduct, which clings to the face of the perpendicular rocks, apparently quite beyond human reach. Just before reaching the village of Antey, the magnificent Matterhorn came in sight, rising majestically, and closing
the end of the valley. A beautiful rocky foreground, bluffs clothed with rich foliage, and most picturesque groups of dark brown chalets, formed a combination of colouring, which made us long to transfer a slight
remembrance of the scene to the sketch-book; but it was not a convenient time to stop, for the mules were to rest further on, at Tournanche.4”
“Avevamo già attraversato la Val Tournanche, ma nella direzione contraria, così il paesaggio ci apparve in un nuovo aspetto, e passammo attraverso dei bei boschi di noce e castagno che ci hanno dato un piacevole riparo dal sole. Mio figlio nel frattempo trovò la sua strada con Couttet passando dalla scorciatoia che attraversa i prati, vicino al fiume. Ci raggiunsero in un’ora circa, quando la nostra attenzione fu attratta dagli straordinari resti di un bell’acquedotto romano, che si aggrappa alla parete perpendicolare di roccia, apparentemente molto difficile da raggiungere. Poco prima di raggiungere il borgo di Antey, il magnifico Matterhorn è apparso, sorgendo maestosamente, a chiusura della cima della valle. Un bel primo piano di rocce, ripide e rivestite di ricco fogliame, e dei pittoreschi gruppi di chalet marrone scuro, formavano una combinazione di colori che ci ha fatto desiderare di trasferire un tenue ricordo della scena sul taccuino; ma non era il momento opportuno per fermarsi, i muli avrebbero riposato più in alto, a Valtournenche5.”
Pure il reverendo King attribuì erroneamente questi imponenti ruderi all’abilità costruttiva dei romani. Ecco un estratto del suo diario di viaggio.
“Two hours took us down to Antey.
A tremendous storm had for some time evidently been brewing behind us; the head of the Val was black as night, the air heavy and sultry, and we hurried on in hopes of escaping it. I had only time, therefore, to examine with my telescope the singular remains of a Roman aqueduct high up
on the face of the rocks to our right. Many of the arches still cling to the cliff at successive points, and at a great height, and are evidences of a very remarkable work worthy of careful examination. There was no inn at Antey, but at a cabaret, a little lower down, by the road side, we got some rough wine and lumps of rye bread6.
“In due ore ci portammo ad Antey.
Una tremenda tempesta è stata per un po’ di tempo dietro di noi; la cima della Valle era nera come la notte, l’aria pesante e afosa, e ci siamo affrettati nella speranza di sfuggirle. Ho avuto solo il tempo, quindi, di esaminare con il mio cannocchiale i singolari resti di un acquedotto romano costruito sulle rocce alla nostra destra. Molti degli archi sono ancora aggrappati alla rupe in punti successivi, e ad una grande altezza, e sono testimonianza di un notevole lavoro degno di un attento esame. Non abbiamo trovato locande ad Antey, ma in un cabaret, un po’ più in basso, a lato della strada, abbiamo ottenuto del vino e dei cubetti di pane di segale grezzi5.”
Bibliografia:
Jane Freshfield, Itinerari alpini meno conosciuti, prefazione, traduzione e note di Gianluigi Discalzi, Libreria Antiquaria Art Point, Courmayeur, 2010, pag. 171
Patrick Barrel, Annalisa Bovio, Flavio Dalle, Passeggiando lungo i ru, Martini Multimedia Editore, Saint-Vincent 2008, pag. 156
Luca Zavatta, Le valli del Cervino, L’Escursionista Editore, Rimini 2005, pag. 171
Edward Whymper, La salita del Cervino, Traduzione di Anna Balbiano d’Aramengo, CDA&VIVALDA EDITORI, Torino 2004
Cristina Sanna, Le testimonianze grafiche … , in Lo Coucou n° 17, Verrès 2002
Maria Cristina Ronc, La valle del Cervino, Torino 1990
Ugo Torra, la Valtornenche, le sue antichità, Tipografia Eporediese 1973
Aimé-Pierre Frutaz, Sepolcreto preromano nella Valtornenza, nota estratta dal Bollettino storico-bibliografico subalpino, 1942 vol. 44 n. 1-4, Torino 1942
Giuseppe Corona, Dans la Vallée D’Aoste Manuel du Touriste, Imprimerie A. Lombardi, Milan 1882, pag. 31 (versione digitalizzata consultabile a questo indirizzo: http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1064685.r=giuseppe+corona.langFR
Edouard Whymper, Escalades dans les Alpes de 1860 à 1869, ouvrage traduit de l’anglais avec l’autorisationa de l’auteur par Adolphe Joanne, Librairie Hachette, Paris 1873, disponibile in versione digitale a questo indirizzo: http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k205825t.image.r=whymper.f1.langFR
Georges Carrel, La Vallée de Valtournenche en 1867, pubblicata sul bollettino del CAI n. 12 del primo semestre 1868, a pag. 15.
versione digitale disponibile a questo indirizzo: http://books.google.it/books?id=ZyU4AAAAcAAJ&pg=PA15#v=onepage&q&f=false
- descrizione e foto in : Viola Luciano, Antey-Saint-André, Litografia Geda, Nichelino 2006, pag. 271[↩]
- Aldo A. Settia, la tradizione inventata: i saraceni nelle Alpi marittime, in L’Alpe n° 3, Ivrea, 2000[↩]
- Libera traduzione di André Navillod da: Edward Whymper, Scrambles amongst the Alps in the years 1860-1869 by Edward Whymper, fifth edition, London, John Murray, 1900, pag. 122 disponibile in versione digitale a questo indirizzo: http://archive.org/details/scramblesamongst00whymuoft/page/122/mode/1up?view=theater&q=antey[↩]
- Tratto da: Jane Freshfield, Alpine Byways Or Light Leaves Gathered in 1859 and 1860, Longman Green Longman and Roberts, London 1861, pagg. 166, 167 versione digitale disponibile qui: http://books.google.it/books?id=410OAAAAQAAJ&printsec=titlepage#PPA166,M1[↩]
- Traduzione italiana di Gian Mario Navillod[↩][↩]
- Tratto da: Rev. Samuel William King, The Italian Valleys of the Pennine Alps: A Tour Through All the Romantic and Less-frequented “Vals” of Northern Piedmont, from the Tarentaise to the Gries, ed. John Murray, London 1858, pag. 220 copia digitale disponibile qui: http://books.google.it/books?id=pZos4iaCM8UC&printsec=titlepage#PPA220,M1[↩]