Mi avevano detto che fortezza di Plan Puitz è stata illuminata e messa in sicurezza così, quando mio figlio mi ha detto che sarebbe salito a farci un sopralluogo, ne ho approfittato per ripercorrere una passeggiata di tanti anni fa.
All’interno è stato aggiunto un l’interruttore che accende le luci nel corridoio e nelle prime due camere. Un cancello in ferro impedisce l’accesso alle altre due stanze e il corridoio che porta al pozzo. Fortunatamente la parte superiore del cancello non è chiusa da una griglia, chi lo scavalca lo fa a suo rischio e pericolo e così chi pensa che muri e barriere siano la soluzione più efficace per evitare problemi legali può dormire sonno tranquilli. In più di cento anni di vita della fortezza non mi risulta che vi siano stati incidenti all’interno ma capisco ci sia chi pensa che la prudenza non è mai troppa.
A copertura del pozzo, puits in francese, è stata fissata una griglia in ferro che impedisce di scendere i pochi gradini che portavano all’interno dell’opera in caverna; peccato, una botola avrebbe consentito un accesso sicuro e suggestivo.
Vicino all’ingresso mi fermo a leggere un cartello intitolato “Qualche appunto di storia delle fortificazioni” che trovo riassuma in modo chiaro l’evoluzione della tecnica negli ultimi due secoli. “Complimenti all’autore” dico ad André. E lui fresco di ripassino sghignazza apertamente: “Non è che qualcuno si è ispirato al tua pagina di Tapazovaldoten?”
A casa controllo e con grande divertimento scopro che il mio articolo del 2007 è invecchiato bene. Lo ripubblico qui sotto con evidenziato in grassetto quello che potete leggere a Pian Puitz, il Piano del Pozzo in italiano.
Qualche appunto di storia delle fortificazioni
Fino alla metà del 1800 le artiglierie erano ancora a canna liscia e ad avancarica, i cannoni più potenti riuscivano a sparare le palle a una distanza massima di quattro chilometri e la loro forza di penetrazione era di circa 3.60 metri nella terra.
Con la comparsa dei cannoni a canna rigata nel 1859, si modificò la forma dei proiettili che diventarono ogivali, raddoppiò la gittata e si introdusse il sistema a retrocarica che rendeva più veloce il tiro rendendo di colpo obsolete le vecchie fortezze.
Dopo la breccia di Porta Pia (20 settembre 1870) i rapporti diplomatici con la Francia si raffreddarono alquanto e divenne urgente il rafforzamento delle difese della frontiera occidentale. La stipula della triplice alleanza tra Italia Germania e Austria nel 1882 accelerò ancor di più l’attività fortificatoria lungo la frontiera con la Francia. Quello stesso anno entrò in servizio il cannone 149 G che raggiungeva una gittata di otto chilometri con proiettili da 40 kg di peso.
Le fortificazioni si trasformarono; abbandonate le murature di pietre e mattoni, l’artiglieria si schierò all’aperto nelle batterie di protezione che erano caratterizzate da un terrapieno spesso dagli 8 ai 12 metri e nelle batterie semipermanenti, più piccole, che ospitavano non più di quattro pezzi. Le truppe alloggiavano nelle caserme difensive dotate di feritoie per i fucilieri, da utilizzarsi come punti di prima difesa.
Nel 1885 con l’invenzione delle granate torpedini, dei proiettili caricati con esplosivi ad alto potenziale, e del tiro a shrapnel, proiettili caricati a mitraglia che esplodevano a mezz’aria colpendo i serventi, le vecchie protezioni furono sostituite da batterie corazzate infossate nel terreno per ridurne la vulnerabilità.
Durante la prima guerra mondiale l’impiego dei mortai da 280 e da 420 mm mise in luce i limiti delle batterie corazzate che vennero sostituite dopo il 1931 dalle nuove fortificazioni ispirate a quelle della Linea Maginot: la fortezze erano scavate nella roccia da cui emergevano solo le postazioni di combattimento, i malloppi, che erano completamente rivestite di cemento armato e spesso blindate all’interno. Erano armate di mitragliatrici, cannoni anticarro o cannoni che raggiungevano i 10 km di gittata.
L’utilizzo della carica cava, usata dai tedeschi nella conquista della fortezza belga di Eben Emael, ebbe ragione anche di questo tipo di fortificazione. La carica cava è costruita in modo da dirigere tutta la potenza dell’esplosione in un unico punto e riesce così a forare anche la corazza più resistente. Nel 1940 con un peso di 12.5 o 50 kg tali ordigni riuscivano a perforare corazze di 12 o 25 centimetri di spessore. Nel 1942 venne messo a punto un particolare proiettile che riusciva a bucare quattro metri di cemento armato prima di esplodere.
All’avvicinarsi della seconda guerra mondiale la linea fortificata italiana, il vallo alpino, era ancora lungi dall’essere terminata. Nel 1938 si misero in cantiere le opere tipo 7000, che presero il nome dal numero della circolare che ne illustrava le caratteristiche. Erano piccole casematte che ospitavano un paio di mitragliatrici o raramente un cannone anticarro, le loro feritoie erano protette da una piastra metallica annegata nel calcestruzzo che a volte superava i due metri si spessore.
A queste si aggiunsero nel 1940 le opere tipo 15.000 che avrebbero dovuto essere ben più estese ed in grado di sostenere attacchi prolungati. All’entrata in guerra dell’Italia, nel giugno 1940, nessuna era ancora completata, i lavori proseguirono fino al 1942 quando vennero definitivamente abbandonati.
Con il trattato di pace del 1947 numerose opere vennero annesse alla Francia grazie alle rettifiche del confine, delle altre era prevista “La distruzione … nel limite di 20 chilometri da qualsiasi punto della frontiera, quale è determinata dal presente Trattato” che doveva essere “completata entro un anno dall’entrata in vigore del Trattato”.
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