Le macine della Valmeriana

C’è solo da augurarsi che il grande Santuario possa un giorno ripopolarsi di visitatori, seguendo i tracciati da realizzare e percorsi organizzati per turisti, al fine di permettere visite di comitive … nella nuova luce di un passato che non poteva più continuare a rimanere nascosto sotto la vegetazione in un silenzio … di tomba(1)Mario Catalano, Santuario astronomico delle ruote cosmiche in Val Mariana, Diffusioni Grafiche SpA, Villanova Monferrato, 2002, pag. 10

Le macine della Valmeriana - Foto di Gian Mario Navillod.
Le macine della Valmeriana – Foto di Gian Mario Navillod.

Le macine della Valmeriana sono ricavate dalla pietra ollare, una pietra che prende il nome dal latino “olla“, pentola, perché è stata utilizzata sin dalla preistoria per realizzare oggetti che resistessero al calore come pentole, stufe(2)Nel 1838 il comune di Champorcher affidò all’artista Perruchon la costruzione di una stufa in pietra ollare per scaldare la scuola e la sala del consiglio – in Fausta Baudin, Champorcher la storia di una comunità dai suoi documenti, Arti Grafiche Duc, Aosta, 1999, pag. 204 e stampi per le fusioni. Grazie alla sua bassa durezza e alla facile lavorabilità in antichità sono stati costruiti persino dei bracciali in pietra ollare(3)Paolo Castello, Stefano de Leo, Pietra ollare della Valle d’Aosta: caratterizzazione petrografica e inventario degli affioramenti, cave e laboratori in Bulletin d’Études Préhistoriques et Archéologiques Alpines, 2007,18, Aoste, versione digitatale disponibile qui. – Pag. 53.

Di solito è di colore verdastro, poco porosa, resiste bene agli sbalzi di temperatura e non si altera a contatto con gli alimenti.

L'entrata della grotta alta un sito di estrazione delle macine della Valmeriana - Foto di Gian Mario Navillod.
L’entrata della grotta alta, sito di estrazione delle macine della Valmeriana – Foto di Gian Mario Navillod.

In Valle d’Aosta la pietra ollare veniva estratta in cave, sia a cielo aperto che in galleria o da blocchi isolati alla testata delle valli di Ayas e Valtournenche e nella zona attorno al Mont Avic, tra Saint-Marcel, Pontey e Champorcher.

I colori della Grotta Alta della Valmeriana, sulla destra una testa di geologo - Foto di Gian Mario Navillod.
I colori della Grotta Alta della Valmeriana, sulla destra una testa di geologo – Foto di Gian Mario Navillod.

Nei conti della castellania di Bard della prima metà del 1300 è rimasta traccia del denaro versato dagli artigiani/imprenditori Pietro e Giovanni che avevano chiesto la licenza per fabbricare pentole in pietra “Petrus et Johannes Lavazerii pro licentia sibi data faciendi lavezos lapidum(4)Fausta Baudin, Champorcher la storia di una comunità dai suoi documenti, Arti Grafiche Duc, Aosta, 1999, pag. 203 nota 40 citata in Mauro Cortelazzo, La pietra ollare della Valle d’Aosta. Cave, laboratori e commercio, in “Bulletin d’Etudes Prehistoriques et Archeolgiques Alpines”, XVIII, Numéro spécial consacré aux «Actes du XIE Colloque sur les Alpes dans l’Antiquité», Champsec/Val de Bagnes/Valais-Suisse 15-17 septembre 2006, Aoste 2007, pag. 92, nota 6, Versione digitale disponibile qui..

Scarti della tornitura di pentole in pietra ollare utilizzati come pavimentazione davanti alla cappella di Saint-Jacques-des-Allemands di Ayas - Foto di Gian Mario Navillod.
Scarti della tornitura di pentole in pietra ollare utilizzati come pavimentazione davanti alla cappella di Saint-Jacques-des-Allemands di Ayas – Foto di Gian Mario Navillod.

Fino al 1989 erano ancora visibili tra il Grand Fourneau (5)una ricostruzione dell’opificio del Grand Fourneau e disponibile sul portale della Fondazione Francesco Caorni a questo indirizzo: https://archivio.francescocorni.com/scheda/22425ed il torrente gli scarti della tornitura delle pentole in pietra, centinaia e centinaia di tenoni o carote o torsoli che hanno presa la strada del fondovalle negli zaini dei turisti o dei cercatori di funghi. Il deposito fotografato da Riccarda Lettry, che in questa intervista condivide i suoi ricordi, era già scomparso nel 1995(6)Mirko Cianci, Guido Cossard, Pierino Daudry, Franco Mezzena, Dalla Venere alla maschera: aspetti di cultura arcaica in Valle d’Aosta, ed. Cervino Châtillon, 1995, pag. 45-48.

Quella cavata dalla Valmeriana è un tipo particolare di pietra ollare, si definisce cloritoscisto (la parte verdastra tenera) a granati (i cristalli rossastri) e cloritoidi (i grandi cristalli scuri).

Tra il 1275 e il 1300 risultano transitare a Bard, pagando il pedaggio quasi 400 mole e più di 600 clape. Alcuni studiosi pensano che le clape siano dei pestelli, altri che siano delle piccole mole, altri ancora che siano delle parti di mole da assemblare(7)Mauro Cortelazzo, pag. 97.

I documenti rivelano che sin dal 1180 le mole, che non necessitavano di rabbigliatura, ovvero l’operazione di scanalatura della macina per evitare che i cereali venissero schiacciati anziché frantumati, venivano estratte dalla moleria di Valmeriana o Saint-Marcel, attraversavano la Dora Baltea a Pontey, passavano pedaggi di Montjovet, Verres, Bard, poi proseguivano verso Ivrea dove erano immagazzinate nel molarius communis(8)Mauro Cortelazzo, Pietra ollare in Valle d’Aosta: problemi e prospettive per una ricerca, pag. 35. Erano poi vendute lungo tutto il corso del Po, fino al porto di Classe (Ravenna).

Federico Barbarossa e Uguccione vescovo di Vercelli

Il 17 ottobre 1152 l’imperatore Federico Barbarossa concede a Uguccicone vescovo di Vercelli (uenerabilem uercellensem episcopum ugutionem atque ecclesiam sancti eusebii) la potestà di “emendi molas et deducendi tam molas quam alia quecumque placeuerint per suam terram et per suum districtum episcopo uercellensi concedimus semota omni uiolentia et contradicione alicuius principis aut ciuitatis liceat etiam episcopo montem ugitionis regia auctoritate hedificare et munire(9)Vedi https://books.google.it/books?id=YpAnUH0vdoQC&pg=PA277”. Il vescovo Uguccione è ortografato anche Uguzione o Dominus Ugucio Episcopus Vercellensis(10)Vedi https://www.google.it/books/edition/Memorie_cronologiche_e_corografiche_dell/5qYOAAAAQAAJ?hl=it&gbpv=1&&pg=PA28

I pedaggi valdostani delle macine

Nel 1276 al pedaggio di Bard si pagava:

  • per ogni pecora 1/2 denaro
  • per ogni bue 1 denaro
  • per ogni cavallo 3 denari
  • per ogni macina 8 denari(11)Maria Clotilde Daviso di Charvensod, I pedaggi delle Alpi occidentali nel Medio Evo, Deputazione subalpina di storia patria, Torino, 1961, pag. 384 – versione digitale disponibile qui

Nel 1289, una decina di anni dopo, resta invariata la tariffa per le macine piccole pari a 8 denari mentre quelle grosse pagano quasi il doppio, 15 denari. Per i cavalli la tariffa di Bard quintuplica e sale a 15 denari, le scimmie considerate beni di lusso pagano 5 volte tanto, 75 denari, i falconi leggermente meno, 60 denari. Le greggi che salivano agli alpeggi pagano 264 denari pari al valore di un montone ed un agnello; quelle che scendevano dall’alpeggio 12 formaggi.(12)Maria Clotilde Daviso di Charvensod, I pedaggi delle Alpi occidentali nel Medio Evo, Deputazione subalpina di storia patria, Torino, 1961, pag. 385 – versione digitale disponibile qui

Nei quattro pedaggi valdostani le macine pagavano:

  • a Montjovet circa 25 denari al carro alla fine del 1200;
  • a Verrès 30 denari ogni macina agli inizi del 1300;
  • a Bard nel 8 denari a macina nel 1276;
  • a Donnas 15 denari a macina nel 1276(13)Maria Clotilde Daviso di Charvensod, I pedaggi delle Alpi occidentali nel Medio Evo, Deputazione subalpina di storia patria, Torino, 1961, pag. 384 e segg. – versione digitale disponibile qui.

Gli importi dei pedaggi sono riportati in denari sulla base del seguente rapporto: 1 obolo = 1/2 denaro, 1 soldo = 12 denari.

Nel castello di Quart in Valle d’Aosta sono stati trovati i resti di quattro macine a mano (molendinus ad brachia). Sia la parte superiore, il catillus che quella inferiore, la meta(14)Mauro Cortelazzo, Pietra ollare in Valle d’Aosta: problemi e prospettive per una ricerca, pag. 35.

Ma l’uso delle macine a mano data almeno dell’antichità. Negli scavi della necropoli di Aosta è stata scoperta una macina sepolta tra la fine del I e il II secolo d. C. e in un edificio risalente al IV-V secolo nei pressi di Aosta è stato ritrovato un catillus(15)Mauro Cortelazzo, Le macine in cloritoscisto granatifero – pietra ollare – della Valle d’Aosta: dai “moleria” al “molendinum ad brachia”. Un importante prodotto d’esportazione dell’economia valdostana nel Medioevo, pag. 98 .

Secondo lo storico Marc Bloch “Nel medioevo non vi era fortezza sotto le armi che non avesse le sue mole a mano“. Riporta il Bloch che assediati dall’imperatore Federico II i parmigiani avrebbero patito la fame se non avessero avuto a disposizione dei mulini a braccia(16)Marc Bloch, Lavoro e tecnica nel Medioevo, Laterza Editori, 1973, pag. 91.

A partire dal X secolo però i mulini ad acqua presero il posto dei mulini a braccia. I signori approfittando della mancanza di un potere centrale, iniziarono ad esercitare il potere di banno imponendo ai loro contadini alcuni monopoli relativi all’uso del mulino,  del forno, del toro e del verro da monta. Si riuscì piano piano ad imporre l’obbligo di macinare i cereali nei mulini ad acqua del signore pagando una tassa per l’uso del mulino e dell’acqua che faceva muovere le macine.

In Francia le bannalità furono molto diffuse secondo Marc Bloch. Considerato che fino all’unità d’Italia la Valle d’Aosta ha avuto stretti legami con la cultura transalpina è probabile che lo fossero anche in Valle. Al di la delle Alpi agli inizi del 1200 la transizione tra la molitura a mano e quella ad acqua era pressoché terminata anche se ancora nel 1207 i monaci dell’abbazia di Jumièges imposero la distruzione delle macine a mano ancora presenti sulle terre che amministravano “Si mole ad manum in terra Thome reperte fuerint, omne frangentur, preter unam propter egros(17)“Se delle macine a mano fossero trovate, siano rotte tutte, tranne una per i malati”. Ibid. pag. 93

FILM

Frank Vanzetti su Vimeo: Le macine della Valmeriana.

BIBLIOGRAFIA

Mauro Cortelazzo, La pietra ollare: architettura scultura e reimpiego di una pietra alpina, in “Le vie della pietra. Estrazione e diffusione delle pietre da opera alpine dall’età romana all’età moderna“, Mergozzo 28-29 ottobre 2017, Mergozzo 2019, pp. 221-246. Versione digitale disponibile qui.

Paolo Castello, La cava di pietra ollare in cloritoscisti a granato e cloritoide di Valmérianaz (Pontey – Valle d’Aosta – Italia), in Revue de la  Société de la Flore Valdôtaine n. 72, 2018, p. 5 versione digitale disponibile qui.

Mauro Cortelazzo, Le macine in cloritoscisto granatifero (pietra ollare) della Valle d’Aosta: dai “moleria” al “molendinum ad brachia”. Un importante prodotto d’esportazione dell’economia valdostana nel Medioevo, in Bulletin d’Études Préhistoriques et Archéologiques Alpines, Numéro spécial consacré aux «Actes du XIIIe Colloque sur les Alpes dans l’Antiquité», XXIV, Aoste 2013, pp. 89-124. Versione digitale disponibile qui.

Mauro Cortelazzo, Pietra ollare in Valle d’Aosta: problemi e prospettive per una ricerca, in “Les récipents en pierre ollaire dans l’Antiquité”, a cura di M. Lhemon e V. Serneels, Minaria Helvetica 2012, pp. 26-45

Mauro Cortelazzo, La pietra ollare della Valle d’Aosta. Cave, laboratori e commercio, in “Bulletin d’Etudes Prehistoriques et Archeolgiques Alpines”, XVIII, Numéro spécial consacré aux «Actes du XIE Colloque sur les Alpes dans l’Antiquité», Champsec/Val de Bagnes/Valais-Suisse 15-17 septembre 2006, Aoste 2007. Versione digitale disponibile qui.

Enrico Lana, Renato Sella, Sergio Tosone, Le Ruote dell’Alpe Valmeriana, Rivista mensile del CAI (2006) – Annata 127 – Fascicolo 5, pag. 75

Fausta Baudin, Champorcher la storia di una comunità dai suoi documenti, Arti Grafiche Duc, Aosta, 1999.

Paolo Castello, Stefano de Leo, Pietra ollare della Valle d’Aosta: caratterizzazione petrografica e inventario degli affioramenti, cave e laboratori, in Bulletin d’Études Préhistoriques et Archéologiques Alpines, 2007,18, Aoste, versione digitale disponibile qui.

Marc Bloch, Lavoro e tecnica nel Medioevo, Laterza Editori, 1973.

Maria Clotilde Daviso di Charvensod, I pedaggi delle Alpi occidentali nel Medio Evo, Deputazione subalpina di storia patria, Torino, 1961.

Le macine di pietra ollare negli scavi di Aosta

Ad Aosta nel 2007 durante i lavori per la realizzazione di alcune autorimesse interrate sono stati portati alla luce i resti di un edificio residenziale di età romana che si ritiene sia stato edificato poco dopo la fondazione della città.

All’interno dell’area di scavo è stata portata alla luce una macina in pietra ollare di circa 30 cm di diametro. La presenza di granati nel cloritoscisto indica la pietra è stata probabilmente estratta nella Valmeriana.

Un’altra macina dalle stesse caratteristiche è stata trovata nel corredo di una tomba della necropoli di Aosta, datata tra la fine del I ed il II secolo d.C.

Un’altra ancora, di epoca romana, venne ritrovata a Fidenza ed è conservata ora al Museo Mineralogico di Bologna.

Questi ritrovamenti sembrano confermare che le cave di pietra ollare della Valmeriana abbiano una storia bimillenaria.

Patrizia Framarin, Alessandra Armirotti, un nuovo insediamento nel suburbio settentrionale di Augusta Praetoria, Bollettino della Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Regione Autonoma della Valle d’Aosta n° 5 del 2008, pag. 74.
Versione digitale disponibile a questo indirizzo: http://www.regione.vda.it/allegato.aspx?pk=32543

Macine torri e misogini.

C’è chi sostiene che nella Bibbia vi sia la risposta ad ogni domanda.  Non ne sono sicuro ma per chi si domanda perché in Valle d’Aosta si sono costruite molte torri, se le macine possono essere considerate armi improprie e se il re Abimèlech di Sichem  vissuto circa 3000 anni fa fosse un poco misogino questo passo è illuminante.

In mezzo alla città c’era una torre fortificata, dove si rifugiarono tutti gli uomini e le donne, con i signori della città; vi si rinchiusero dentro e salirono sul terrazzo della torre. Abimèlec, giunto alla torre, l’attaccò e si accostò alla porta della torre per appiccarvi il fuoco. Ma una donna gettò giù il pezzo superiore di una macina sulla testa di Abimèlec e gli spaccò il cranio. Egli chiamò in fretta il giovane che gli portava le armi e gli disse: «Estrai la spada e uccidimi, perché non si dica di me: «L’ha ucciso una donna!»». Il giovane lo trafisse ed egli morì. Quando gli Israeliti videro che Abimèlec era morto, se ne andarono ciascuno a casa sua.(18)Giudici, IX, 51

Dalle macine a mano ai mulini ad acqua.

Antologia Palatina (IX, 418)  Epigramma di Antipatro di Tessalonica contemporaneo di Augusto: “Macinatrici accordate riposo alle mani; dormite,/dormite, anche se all’alba di già cantano i galli./Cerere impose alle Ninfe dall’acque il lavoro: d’un balzo/si lanciano esse al sommo vertice d’una rota/e fan che l’asse giri: comunicava questa il suo moto/ai raggi ed alle cave macine dei Nisèi(19)Abitanti di Nìsiro, isola del Dodecaneso dove secondo Strabone “sonovi assai macigni sicché i popoli vicini hanno grande abbondanza di macine./Siamo all’età dell’oro tornati di nuovo, se i doni/di Demetra possiamo gustar senza fatica

Non solo mulini ad acqua

Nel 1289, cinquecento anni prima della rivoluzione francese, gli estimi del comune di Chieri (TO) testimoniano l’esistenza di una cinquantina di mulini mossi da asini e cavalli a servizio di una popolazione stimata in una decina di migliaia di persone(20)(AA.VV, Mulini da grano nel Piemonte medievale, Società per gli studi storici, Cuneo, 1993, pag. 28.

Le macine a mano in Tibet

Alexandra David-Néel nel racconto del suo viaggio a Lhasa del 1924 scrive che: “Salvo che in importanti agglomerati urbani dove la farina è prodotta in quantità per il commercio, ogni famiglia campagnola tibetana macina il proprio grano in casa, a seconda dei propri bisogni, servendosi di una piccola macina azionata a mano(21)Alexandra David-Néel, Viaggio di una parigina a Lhasa, Voland, Roma, 1997, ISBN 88-86586-29-9, pag. 201.”

La strada dei nostri avi

Scriveva Aimé Chenal nel 1962(22)Le Flambeau, neuvième – N. 2 Eté 1962 pag. 64, versione digitale disponibile qui, libera traduzione dal francese di Gian Mario Navillod: “Se da Ussel si sale fino alla località di Bellecombe, si trova ancora quasi intatta una strada dei nostri avi che, attraverso le foreste del Barbeston arrivava fin sulle alture di Fénis. È singolare poiché è selciata, fatto non comune, da grandi macine da mulino.

Pierre Daudry a seguito di un sopralluogo nell’autunno del 1969(23)Bulletin d’Études Préhistoriques Alpines II, 1969-1970, numero unique, impr.  Marguerettaz – Musumeci – Aoste, pag. 188 – versione digitale disponibile qui descrive in dettaglio la grotta più vicino al sentiero e confuta l’ipotesi di Chenal con grande chiarezza. “La questione della famosa strada che molti vogliono vedere in certi punti lastricata con macine, mi sembra ormai abbastanza chiara. Come ho già accennato, la disposizione delle macine sulla strada è assai irregolare ed il loro numero è irrilevante; ben più numerose se ne possono vedere sparse in ogni angolo del bosco, infine il loro aspetto è quello di  – pezzi – o materiale di scarto; nessuna lastricatura dunque ma solo macine abbandonate.

Le fatiche di Mario Catalano.

Vi sono dei piccoli trucchi per valutare il peso scientifico di una pubblicazione, uno di questi è rappresentato dalla frequenza e della qualità delle note a piè di pagina. Nel libro che Mario Catalano, classe 1935, ha dedicato al sito della Valmeriana le note non abbondano ma come non provare umana simpatia  per l’abnegazione con la quale ha percorso i boschi di Pontey alla ricerca delle ruote cosmiche?

Passeranno alcuni anni prima di trovare un altro giorno libero per poter mettere in atto il secondo viaggio: questa volta partendo a piedi dalla Fr. Clutra, bellissima radura sopra a Pontey, con un notevole bagaglio sulle spalle, anche perché dal comune non mi avevano autorizzato a percorrere la salita con la macchina, pur avendo compilato un modulo con i miei connotati[Sic!] e l’interesse storico richiesto da un docente; particolare, quello della mancata autorizzazione, che non mi preoccupava più di tanto. … Il lavoro di quel giorno era valso a realizzare un intero rullino di fotografie, con molti particolari; ma destino volle che lo sviluppo fosse andato smarrito da parte dello studio fotografico … Di conseguenza ho dovuto ricominciare da capo, riprendendo il cammino lungo l’interminabile salita, per ripetere i rilevamenti di quel percorso, quando ancora credevo che le ruote si trovassero soltanto lungo quella sola via, come venivano segnalate. … È facile intuire peraltro quanto ci vuole per raggiungere il campo di lavoro in una zona così fuori mano; tanto è vero che ad un certo punto mi sono dovuto aggiustare stazionando come potevo nella foresta …(24)Mario Catalano, Santuario astronomico delle ruote cosmiche in Val Mariana, Diffusioni Grafiche SpA, Villanova Monferrato, 2002, pag. 18-19”.

Le fatiche degli Zanzon

Nascoste nella foresta di Pontey si vedono ancor oggi le tracce del lavoro degli Zanzon. Un racconto pubblicato da André Ferré nel 1953 parla di queste presenza benevole che abitavano la Valmeriana e che di punto in bianco l’abbandonarono. Ho tradotto l’originale francese in questa pagina.

Post del 4.04.2014  – Ultimo aggiornamento del 15.11.2022

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