“Questa o quella per me pari sono” canta il Duca di Mantova nel Rigoletto e aggiunge “a quant’altre d’intorno mi vedo; del mio core l’impero non cedo meglio ad una che ad altra beltà.”
E’ triste constatare come l’architettura contemporanea pare concentrata a sviluppare il concetto espresso nel primo verso senza approfondire il contenuto del quarto.
La periferia di Aosta è di una sconcertante bruttezza mentre il più sperduto villaggio della valle d’Aosta edificato prima del XX secolo è generalmente percepito come bello. Ed è un fatto curioso che quando nessuna autorità poteva sindacare la qualità estetica dell’edificato le case veniva costruite belle mentre, da quando ogni progetto viene esaminato dalle commissioni edilizie comunali o dagli uffici della sovrintendenza le case di costruiscono brutte.
Eppure sembra che esista una tendenza innata nell’uomo a distinguere il bello dal brutto e probabilmente tale abilità l’abbiamo in comune con alcuni animali.
Se venisse confermato lo studio1 di Shigeru Watanabe che sembrerebbe dimostrare che i piccioni sanno distinguere tra un disegno bello ed uno brutto fatto da un giovane umano si potrebbe sostenere che gli studi superiori in architettura, perlomeno in Italia, tendono a sviluppare una tolleranza alla bruttezza estranea alla natura umana.
Grazie al Prof. Giorgio Vallortigara per il suo articolo sul “Dare un senso alla bellezza“.
- Abstract disponibile qui: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/19533184/[↩]