“Poteva egli avere cinquanta primavere ed era dunque già molto vecchio … disse sorridendo che un buon cristiano può imparare talora anche dagli infedeli1”
Umberto Eco descrive così Guglielmo da Baskerville, uno dei protagonisti del suo romanzo più famoso, Il nome della Rosa, edito nel 1980.
Ed è una descrizione che potrebbe adattarsi ad un valdostano illustre, Bonifacio I di Challant, che nei primi anni del 1400 fece affrescare nel cortile del castello di Fenis, proprio sopra lo scalone d’onore, un personaggio in costume arabo che porta un cartiglio dove si legge:
Homme qui n’a gouvernement Pert tout le sien vilainement Et quand le bien en lysuivent Nullement en bien ne le prent.
Uomo che non ha governo perde tutto il suo villanamente e quando il bene lo segue per nulla in bene lo prende.
Bonifacio I di Challant fu Maresciallo di Savoia, una carica che coprendeva le competenze dei ministri della difesa e degli esteri contemporanei.
Agli inizi del 1400 si recò in pellegrinaggio in Terra Santa dove mi piace pensare che abbia potuto dire sorridendo “un buon cristiano può imparare talora anche dagli infedeli“
Umberto Eco, Il nome della Rosa, Fabbri editori, 1994, pag. 23, 24[↩]
“Con l’eccezione dell’abominevole idioma che vi si parla e che è, credo, del savoiardo corrotto, il carattere della Città di Aosta e del tutto italiano; in ogni luogo, all’interno delle case, le pitture a fresco rimpiazzano le tappezzerie o le boiseries, e gli albergatori non mancano mai di servirvi a pranzo una specie di pasta e un tipo di crema che nobilitano pomposamente con il titolo di maccheroni e di zabaglione. Aggiungete a ciò del vino d’Asti, delle cotolette alla milanese, ed avrete il menù d’un pranzo valdostano”
Alexandre Dumas, Impressions de voyage en Suisse du Mont Blanc à Berne, (1833-1834), édité par les Bourlapapey, bibliothèque numérique romande www.ebooks-bnr.com, pag. 208, traduzione italiana di Gian Mario Navillod.
Ad Aosta nel 2012 i lavori di scavo per la realizzazione di una cabina elettrica sotterranea hanno portato alla luce due falli scolpiti in altorilievo sul rivestimento della torre d’angolo Nord-Est della cinta muraria romana. Continua la lettura di I falli di Aosta→
In una lettera datata 30 maggio 1873 il sindaco di Brusson descrive il suo comune al comandante della nona compagnia alpina e conclude così la sua missiva: “In questo comune non vi è alcun corpo di guide costituito, ma il primo venuto è in grado di indicare i diversi sentieri che si utilizzano all’interno del comune e quelli che portano ai paesi vicini.”
Jean-Auguste Voulaz, Histoire de Papier, Musumeci Ed, Quart 2000, ISBN 88-7032-638-1, pag. 135
Nel 1857 Leone Tolstoj, l’autore di Guerra e Pace, attraversò la Valle d’Aosta diretto in Svizzera. Aveva allora 29 anni, in soli quattro giorni percorse la Valle d’Aosta da Pont Saint Martin al colle del Gran San Bernardo con un unico cruccio: nessuna compagnia femminile! Continua la lettura di Nel 1857 Leone Tolstoj insidiò le virtù di una gressonara→
A seguire le trasmissioni di Rai 3 regionale sembrerebbe che buona parte dei valdostani passi il suo tempo nei campi, ad allevare bestiame o a dedicarsi alla frutticoltura. In realtà non è così: il Programma Operativo Regionale 2007-2013 del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale approvato dalla Regione Autonoma della Valle d’Aosta e dall’Unione Europea fornisce alcuni dati interessanti sulla ricchezza prodotta in Valle. Continua la lettura di Agricoltura in Valle d’Aosta→
A quale stato appartiene la cime più alta dell’Unione Europea? Per gli italiani la cima del Monte Bianco è italo-francese poiché che si trova esattamente sullo spartiacque alpino. I francesi invece sostengono che essa è compresa interamente in territorio francese, posta a cavallo del confine amministrativo tra i comuni di Saint-Gervais e Chamonix-Mont-Blanc.
Le cartografie ufficiali a riguardo sono di scarso aiuto, per quella italiana la vetta è italo-francese, per quella francese la cima del Monte Bianco è interamente in territorio transalpino.
La questione nacque in seguito alla cessione di Nizza e Savoia alla Francia di Napoleone III da parte del Re di Sardegna Vittorio Emauele II, nel quadro degli accordi che portarono alla seconda guerra d’indipendenza.
Giova ricordare che già il trattato di Utrecht dell’11 aprile 1713 tra il Re Sole e Vittorio Amedeo II di Savoia fissò la linea di confine sullo spartiacque alpino (art. IV “… et tout ce qui est à l’eau pendente des Alpes du costé du Piemont … de manière que les sommités des Alpes … servoront à l’avenir de limite entre la France, le Piemont …” “e tutto quanto sia bagnato dalle acque che scorrono dalle Alpi al Piemonte … in maniera che le sommità delle Alpi … serviranno in futuro da confine tre la Francia, il Piemonte … “)
La carta allegata al trattato del 1862 con il quale il Re di Sardegna cedeva Nizza e la Savoia all’Imperatore Napoleone III è tutt’ora conservata nell’Archivio di Stato di Torino ed è stata riprodotta nella accurata ricerca di Laura e Giorgio Aliprandi sulla cartografia delle grandi Alpi. Essa pone la cima del Monte Bianco indiscutibilmente sulla linea di confine. Tale documento, sottoscritto dai rappresentati di entrambi gli stati dovrebbe risolvere definitivamente la questione, anche perché l’altra copia della carta allegata al trattato, conservata negli archivi francesi, sembra non sia al momento reperibile.
Il mio papà ha sempre saputo che la cima del Monte Bianco è metà italiana e metà francese. Nel 1955 era sottotenente alla Scuola Militare Alpina di Aosta e in quegli anni i soldati erano saliti sulla cima del Monte Bianco con le armi, cosa che non avrebbero potuto fare su di una montagna interamente francese.
Laura e Giorgio Aliprandi, Le grandi Alpi nella cartografia 1482-1885 vol. II, Priuli e Varlucca Editori, Scarmagno 2007, ISBN 978-88-8068-377-3, pag. 159 e segg.
Henri Vast, Les grands traités du règne de Louis XIV., Alphonse Picard et Fils ed., Paris 1899, documento consultabile a questo indirizzo:http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k96031j.image.r=traite+de+utrecht+savoie.f134.langEN